Sorridi la musica ti salva!
Scappai in camera mia – geloso delle emozioni che sarebbero esplose e difatti - dopo averla scartata dall’imballaggio, l’abbracciai come una madre e piansi!
Quando avevo 11 anni ho ricevuto il più bel regalo della mia vita: la mia prima chitarra!
Dopo 5 anni di studio del pianoforte, un po’ indotto dai miei genitori sulle orme di mio fratello più grande - ma che non disdegnavo pur non appoggiandosi perfettamente alla mia anima -, mi è stata regalata la prima chitarra vera; altre due l’avevano preceduta – sempre dietro mia pressante richiesta – ma erano dei giocattoli.
Pur conoscendo la musica, non avevo la più pallida idea di come suonarla, sapevo soltanto che era IL MIO TUTTO!
Tutto?
Sì, TUTTO!!
Fin da quando ho memoria di me stesso, ricordo che cercavo in ogni cosa IL MIO TUTTO.
Ma cos’è questo tutto?
Un “qualcosa” che valesse e che facesse tutto: bello per gli occhi, affettuoso per il cuore, divertente per giocare; che potesse diventare il mio lavoro da grande, la mia passione unica, la mia totale espressione, fonte di sostentamento e di realizzazione, che fosse portatile in ogni luogo e che al tempo stesso non rinunciasse alla completezza di un mezzo totale…
“Tutto”, che - se pure mi avessero abbandonato in una cella nudo soltanto con quello, non mi sarei mai sentito del tutto solo o inutile: la mia vita avrebbe continuato ad avere un senso…
Cibo per la carne, bevanda per la mente e Spirito per l’anima!
Fin da quando avevo 2 - 3 anni, ogni volta che sentivo in un film western o spagnolo - la voce di una chitarra, le mie gambe si bloccavano e restavo paralizzato fino a quando il film non tornava in “modalità offline” per le mie orecchie…
Il primo impatto con la chitarra fu quindi del tutto affettivo, sentivo che era finalmente arrivato: IL MIO TUTTO!
La toccavo, l’abbracciavo e coccolavo come un essere vivente: tutto ciò che mi mancava nella vita, era lì davanti a me, e per fortuna era femmina!
Era diventato finalmente possibile riprendermi la voce, che in casa mia non era mai stata considerata; la chitarra si sovrapponeva perfettamente alla forma della mia anima senza sbavature né imprecisioni – con mia enorme sorpresa…
La stessa sorpresa che devono aver provato gli studiosi della Sindone, quando sovrapponendo il volto del sudario di Oviedo su quello della Sindone, si accorsero della perfetta coincidenza del viso e delle macchie di sangue!
Poi cominciai a giocare sulle corde della mia chitarra senza nemmeno conoscere la tastiera, che non centrava nulla con quella del pianoforte - l’unica che conoscevo…
Ben presto mi accorsi che il mio modo di imparare era intuitivo e che riuscivo ad ottenere dei suoni senza che la mia mente mi spiegasse cosa stavo facendo; in pratica ho iniziato a comporre fin da subito, ma per esigenza…, perché non conoscevo nessuna musica per chitarra e non avevo nessuno spartito – che tanto non avrei saputo trasporre sulla chitarra…
La mentalità regnante in casa mia, era purtroppo questa: impara a suonare il pianoforte e poi sai suonare tutti gli strumenti!
Dunque prendere lezioni di chitarra era considerato uno spreco di tempo e denaro!
Non c’era verso!
Ma io avevo un amico negli scout in parrocchia che aveva 16 anni e io appena 11; si chiamava Beppe Berola, da noi soprannominato Giugi: era un po’ il mito del gruppo perché aveva una moto, una mitica Ossa da trial con la quale impennava per tutta la via Bardonecchia a Torino e poi… suonava la chitarra da dio…
Lui aveva quello che mancava a me, cioè la pratica; e io quello che mancava a lui: conoscere la musica…
Ho imparato da lui i primi rudimenti e poi un giorno sono andato a casa da mia madre, e le ho fatto ascoltare la mia prima canzone che più o meno faceva così:
La luna era marrone
Le stelle erano tristi
Nel cielo apparve un bagliore
Di nuvole mai viste…
Insomma la “creanzone” di un bambino che aveva fretta di crescere e volare via via via…
Mia madre che aveva orecchio musicale - era anche capo-coro in chiesa - si accorse subito che al di là della canzone, avevo imparato ad arpeggiare e fraseggiare da solo…
Si convinse che valeva la pena di farmi studiare la chitarra, e il mio primo Maestro fu un docente di pianoforte al Conservatorio di Mantova, che insegnava privatamente anche fisarmonica e chitarra - senza mettere mai un dito sulla chitarra, mi spiegava la tecnica…, ma andava bene anche così per iniziare!
Poi arrivarono gli studi veri e tutto il resto, ma il mio modo di imparare ormai era cambiato per sempre: era diventato più autonomo e si basava sulle regole e l’esercizio da una parte, ma anche sul gioco intuitivo e sperimentale dall’altra parte; io giocavo sullo strumento e inventavo e modificavo i pezzi dei grandi, e questo faceva imbestialire il mio Maestro che mi vietò di utilizzare una chitarra diversa da quella classica e l’uso del plettro; così cominciai a nutrirmi - di nascosto dagli studi “canonici” – di tutto quel mondo che poi sarebbe diventato il mio mondo, costringendomi ad inventare perché allora non si trovava un libro scritto, e chi sapeva suonare non conosceva la musica e non sapeva trasmetterla ad altri…
La chitarra, un gioco perfetto: IL MIO TUTTO!
Gli studi classici - all’inizio - li sopportai solamente perché rappresentavano l’unico modo di accedere allo strumento, ma io non volevo attraversare soltanto l’aria con la chitarra: io volevo attraversare la densità delle cose, cambiarle, farle tornare a splendere per come erano state previste dalla natura…
In altre parole volevo che la mia vita prendesse un significato che mi era stato sottratto, e tornasse a splendere di luce propria!
Non posso raccontare tutta la mia storia in poche righe, che poi annoia e non so quanto possa interessare…
Ma il “patto” invisibile che nacque tra me e la chitarra fu tipo un “patto di sangue”: di quelli inscindibili e imprescindibili…
E mai permisi che “il mio tutto” fosse in qualche maniera influenzato da esigenze materiali e messo alla stregua di un qualsiasi altro lavoro: ero stato adottato da una vita nuova e non potevo tradirla; se la “prima vita” mi tradì amaramente - ahimè, la seconda opportunità che avevo non potevo bruciarla con compromessi o semplificazioni di sorta…
Ho imparato da grandi Maestri la tecnica, e dall’esigenza la capacità di far scivolare tutto in un imbuto che arrivasse dritto al mio cuore…
Ho capito che la musicalità – l’essere musicale – non è soltanto una qualità delle mani, del corpo (musicalità manuale); ma è anche – e forse soprattutto – una qualità interiore, propria dello spirito e del sé pensante (musicalità spirituale): e l’ho vissuta per necessità perché c’è stato un periodo della mia vita in cui soltanto la musica mi parlava e mi suggeriva “tieni duro, io sono con te – sorridi, la musica ti salva!”
Oggi tanti mi dicono “la musica è comunicazione”; nooo, sono convinto che l’arte – non sia comunicazione, ma soltanto espressione di sé stessi e della propria vita; soprattutto quando è costretta ad essere tanto singolare da rischiare di morire di solitudine…
Solitudine intellettuale, psicologica e alla fine anche materiale perché poi ti accorgi che il tuo modo di sentire è diverso da quello degli altri che si accomunano più convenientemente, e tu appari come ridicolo: agli occhi di chi consuma la vita senza berne una goccia, agli occhi di chi osserva il tuo strano modo di indagare e di scavare in particolari che gli altri considerano futilità…
E’ proprio questa dimensione espressiva che si può considerare una DIMENSIONE VERTICALE, perché ci innalza, va dalla terra verso il cielo!
E da quel microcosmo e da quelle intense osservazioni del “nulla” sono ripartito per fondare la mia vita!
E questa si esprime con la musica!
Hai solo voglia di mettere il timbro sulla tua musica e di esprimerti per quello che senti; ma forse compito dell’arte è proprio questo: cogliere aspetti della rarità e della sensibilità che ai più sfuggono e creare una tua Fonte; se ti lasci guidare la mano e il pensiero dall’alto, riempi la terra di cose del cielo e chi si vuole davvero abbeverare di quel nutrimento, può farlo quando vuole, perché quella musica diventa l’alfabeto celeste…
Indispensabile per leggere oltre l’umano, per gettare l’occhio oltre il finito!
E’ proprio quella finestra che a noi è dato il compito di spalancare; siamo l’ultimo gradino del finito e dal nostro “piedistallo” si rasenta l’esperienza dell’infinito, si percepisce ciò di cui abbiamo più bisogno e più paura allo stesso tempo: l’anima oltre l’animale!
Condividere quel “piedistallo”, è il significato della nostra vita!
Siamo utili così, senza cambiare!
Siamo nati artisti per essere tramite tra la terra e il cielo, e chi ci vorrebbe soltanto macchine da produzione - giocando sul nostro ego soffocato - sposta l’ago della bilancia verso la terra e verso l’intrattenimento; ma quando li ascoltiamo davvero ci svuotiamo di noi stessi, di quella magia che ci rende simile agli Angeli per farci riempire di cose della terra: soldi fama e successi che sovente sono il perimetro esatto di un fallimento, di una resa, di una disequazione!
Poi dietro alla musica si nascondono anche coloro che si nutrono di comunicazione, e allora ecco che la musica può anche prendere una dimensione orizzontale aggiunta - di comunicazione; ma l’esigenza primaria è soltanto espressiva di una solitudine che il più delle volte è costretta a scendere a profondità immense per riemergere: vita!
E questa dimensione comunicativa si può chiamare DIMENSIONE ORIZZONTALE, perché ci allarga, va da noi verso gli altri!
Ora - parlando schiettamente - se io esprimo quello che troppi hanno bisogno di sentire, forse stampo della buona carta per il mio portafoglio; però annego nella miseria di prima: sparisco, perdo la mia dimensione spirituale e non esisto più!
Se invece continuo ad essere me stesso, allora riempio il mio cuore di quello che altri vorrebbero nel portafoglio; perché la musica è espressione di una diversità che resta sigillata con la ceralacca della natura; se non interviene qualche mercante a trasformarla da soggetto in oggetto!
Di solito gli artisti di successo nascono al pubblico: dapprima geniali, poi bravi e poi scadenti e alla fine diventano i ritornelli dei vecchi successi…
Perché?
Perché il denaro si ruba tutto; il denaro – in abbondanza - non arricchisce nessuno, ruba soltanto!
Mentre gli artisti di “natura diversa” semmai restano invisibili a lungo, per poi eventualmente rivelarsi poco a poco, ma sempre con estrema prudenza…
Perché se chi ha un dono perde l’unica cosa che ha, a nulla gli giova il riempirsi le tasche di una nuova tristezza che chiamerà: ricchezza!
Benessere e ricchezza sono in contrasto per natura: il primo chiede e dona libertà, il secondo asservisce e impoverisce l’uomo…
Io mi tengo IL MIO TUTTO!
Rué Libertà, 5 gennaio 2014