L'APE E IL CAPOLAVORO NASCOSTO...

 

Sono andato ad Asti per fare la spesa – sono sceso in città come si dice dalle mie parti…

C’era – sotto i portici di piazza Alfieri – una coppia di ragazzi che suonavano le chitarre, e tenevano compagnia alla loro solitudine in quella maniera: due ragazzi e le loro chitarre, non correvano soldi e la musica era sincera.

Chiamiamo professionisti coloro che guadagnano soldi prostituendo la loro arte al mercante di turno: sala da ballo, locale, teatro, spot o etichetta discografica…

E chiamiamo dilettanti coloro che senza un timbro in fronte, sciolgono la loro arte in mezzo agli uomini per amore, e dall’amore nasce la loro musica…

I finti si combattono tra di loro, perché si fanno concorrenza e perché ritengono il loro guadagno più importante dello studio, più importante della musica che li ha raccolti, e ritengono più importante l’amore recitato in una canzone dell’amore che ci vuole per abbracciare l’infinito con due braccia e non lasciarlo più partire senza di noi.

Cos’è allora l’infinito, dunque?

L’infinito comincia dove finisce il finito!

Cos’è allora il finito?

E’ il contratto, il lavoro a commissione, la tournée, l’esibizione retribuita, la rincorsa al successo, la composizione su misura per il mercato, l’arrangiamento che tira, il suono finto e patinato della quasi totalità dei dischi in commercio…

Dove tutto questo finisce, la musica torna ad essere quella compagna inseparabile di vita, che cammina tra la gente con le gambe ma evapora con la testa ed il cuore verso altri mondi; dove la percezione di una sensazione è talmente personale da poter essere indossata soltanto dal suo autore, dove l’emozione vissuta scava una galleria profonda che non può essere raccontata in superficie per trovare tanti commensali - perché soltanto il suo autore la può digerire, dove la testa ed il cuore trovano concordia e da quella miseria nasce un pensiero solitario avvitato stretto alla propria storia e alla propria pelle, dove l’angelo intona la prima nota e l’uomo si accorda alla sua volontà!

Il “capolavoro nascosto” non è una sottrazione di divertimento e di cultura alla società, al contrario ne è garanzia di originalità, di non essere stato contraffatto, di autenticità dell’opera, di assoluta aderenza all’autore…

Se vado in montagna e incontro un uomo che con le sue mani fa il formaggio come una volta, e lo lascia stagionare nelle grotte naturali di tufo e lo lavora con le sue mani senza macchinari e non aggiunge correttori di gusto alcuno…, lo lascio lì con sue mucche e la sua vita autentica che restituisce - a qualche arrampicatore coraggioso - il gusto unico frutto della fatica e della ricerca ostinata.

Se lo portassi a valle e cercassi di intraprendere una strada costellata di “fortune” per lui - e per me  come aiutante nel compito di farlo transitare da montanaro ad imprenditore, inquinerei la purezza di quei luoghi e di quei metodi; se egli stesso diventasse il venditore dei suoi prodotti, comincerebbe a delegare qualcun altro al lavoro di preparazione, e l’amore e l’esperienza suoi diventerebbero soltanto più un nome scritto su un’etichetta, a conferma di una cessata purezza!

Chi ha sete di purezza e fame di quel gusto, dovrà scalare l’intera montagna per raggiungere il luogo nel quale avviene questa fusione tra sapienza artigianale e sapienza della natura, tra amore di Dio per l’uomo e rispetto dell’uomo per i doni di Dio, tra luce e mistero che si traduce nel “miracolo” irripetibile altrove ed in altre condizioni…

L’impossibilità dell’artista di condividere le emozioni e le sensazioni - che il pubblico vorrebbe a misura di massa, lo mette nella circostanza di partorire un sassolino prezioso per colmare quel vuoto che si crea intorno ad esso ogni qualvolta la sua anima rivendica il diritto all’unicità!

Una società che si ricorda delle api soltanto per le sue punture, ma dimentica il loro ruolo primario di impollinazione delle piante; una società che si nutre di dolci snaturati ma si dimentica della loro unicità nella trasformazione del nettare in miele…, non può godere appieno dei frutti di quelle piante e di quel miele perché non riesce a comprendere il miracolo che si compie sotto i suoi occhi!

Si cerca altrove - nella edulcorazione artificiosa - un’esplosione di gusti forti e intensi che mai rassomiglieranno alla purezza della vita autentica che può offrire il lavoro dell’ape; distratti da mille curiosità e da finte luci - nel cammino - si perde di vista il traguardo e ci si abitua a considerare un’opera d’arte qualcosa che somigli al nostro sentire e non a quella del suo autore; ipotechiamo la nostra curiosità ultima di conoscere, per quella immediata di toccare!

Il sassolino dell’ape è il miele come l’opera d’arte è il sassolino dell’artista, ma entrambi trasformano una realtà viva - con i loro sensi - in qualcosa che può essere goduto – non emulato - da chi si avvicini col rispetto dovuto a quel sassolino.

La trasformazione che avviene è opera di un solo individuo, e non può rappresentare il gusto cercato dalla collettività, perché ciò che è dato a un artista è quella capacità di provare sensazioni ed emozioni in una maniera unica e di trasformarle in quel sassolino prezioso; esattamente come all’ape è data la ligula dalla forma unica, con la quale può raccogliere il nettare, e poi la capacità di trasformarlo in miele attraverso la borsa melaria…

Nessuno oserebbe alterare il gusto del miele per renderselo più simile, semmai proverebbe a imparare il buon gusto dal miele!

L’uomo che scopre il buon gusto del miele va dove si produce per servirsene, non va l’ape a reclamizzarlo perché l’ape non lo produce per l’uomo, ma per sfamare sé stessa.

Il “capolavoro nascosto” è come l’ape col miele: l’artista lo produce per sfamare la sua fame spirituale, non per venderlo; chi ne intuisce il gusto e l’arricchimento che può dare un simile alimento spirituale, va dove si produce per servirsene…

Rué, 25 maggio 2013 

L'APE E IL CAPOLAVORO NASCOSTO...

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