A cavallo tra gli anni “60 e gli anni “70, nello sforzo collettivo di individuare il bene: in un migliore - in un superiore, nascevano figure ambigue come quella del capoclasse, nelle scuole.
Proprio questo “sforzo” di riconoscere un capo per diritto naturale, portava in realtà ad eleggere una persona che era destinata a diventare il primo ruffiano della classe.
Vi erano poi due forme di elezione: la prima era quella solita del voto segreto espresso da ogni compagno su un pezzettino di carta e poi la raccolta e poi la conta e vinceva il più gettonato; la seconda avveniva per elezione diretta di un professore (di solito il professore capoclasse) per "meriti accertati": intellettivi o umani.
Questa la teoria!
Nei fatti, il capoclasse sovente era già il pupillo del professore, il quale si esprimeva - in sua assenza - con la voce e l’autorità del ragazzo capoclasse; il quale veniva poi ampiamente ripagato dal professore con sconti sulle interrogazioni e sui compiti, dovuti alla fiducia accordatagli e con posti d’onore ovunque ma soprattutto nelle gite scolastiche: quando ad esempio c’era posto soltanto per tre persone all’interno di una nicchia da visitare, due erano rappresentati dal professore e dalla professoressa a lui più simpatica, ed il terzo era proprio lui: il capoclasse.
Ma il compito del capoclasse non si esauriva con il richiamare al silenzio gli altri compagni durante l’assenza del professore, e denunciare a quest'ultimo la cattiva condotta di quei compagni che di fatto non gli erano utili, e invece lodare quella di quei compagni che gli prestavano favori; ma si trattava di un rapporto continuo nello scambio reciproco - con il professore - di piccoli favori per tutta la giornata di scuola; questo scambio, finiva per scivolare anche in un’intesa di sguardi e piccole condanne nei confronti di chi veniva ritenuto invece: il male.
Già, perché se esisteva una concertata figura del bene, ne esisteva anche una del male; proprio perché si cercava di individuare collettivamente anche chi fosse il portatore del male, riconoscendolo dalle sue azioni - e dalla sua "antipatia" e propensione a non sottomettersi al più forte.
Finiva di solito in questo modo: il capoclasse era il capo dei ruffiani che si circondava di una scia di “lumache” al suo seguito, pronte a strisciare con tanto di bava ai suoi ordini - ordini che sovente erano rivestiti di interesse personale fino al collo, per ottenere ulteriori benevolenze e sconti; il ribelle o la pecora nera - invece - era colui a cui sempre si dava la colpa nella certezza di essere creduti e di allontanarsi così da quel “male” pubblicamente riconosciuto come tale; in mezzo stavano tutti gli altri: alcuni – le lumache – strisciavano accanto al capoclasse per ottenere a loro volta favori e sconti più piccoli, ma pur sempre ragguardevoli e nella speranza di salire di un gradino nella graduatoria per diventare il prossimo capoclasse; altri - gli incerti – si barcamenavano dando ogni tanto ragione al capoclasse e ai suoi seguaci per non inimicarseli troppo, e a volte dando invece ragione al ribelle di turno e ai suoi disperati amici per sentirsi un minimo corretti – o almeno pietosi; e poi c’era “il più forte della classe”, quello che faceva paura anche al capoclasse perché dava botte da orbi e nessuno riusciva a tenergli testa.
Sembra un po’ una società in miniatura – e la sua politica, e lo è!
Dove c’è la figura del “dio professore” intoccabile e irraggiungibile, seguita a ruota dal primo ruffiano - che è il capoclasse - che detiene il potere tra i suoi simili, e riesce così a erigersi ancora più in alto costruendosi una piramide di “lumache” pronte a strisciargli intorno che finiranno coll’estendere la volontà del capoclasse ma anche col dilagare della ruffianità; dove ci sono gli incerti eternamente indecisi se seguire il cuore e la ragione oppure la convenienza personale, e dove non manca nemmeno “il più forte della classe” che riveste la figura del delinquente e che spaventa addirittura l’autorità del capoclasse; dove c’è infine il ribelle, colui che è ritenuto il male per eccellenza, e che quasi sempre invece riveste la figura di colui che non teme nessuno - nemmeno “il più forte della classe” - ma prosegue lontano dalle apparenze e dalle opportunità, seguendo soltanto il suo cuore e la sua ragione pure.
Ha pochi amici il ribelle - di solito quei pochi che hanno voglia di rischiare qualcosa e sono consapevoli che comunque non verrebbero certificati tra i primi della classe per discreto profitto, ma che sotto il grembiule da bravi scolaretti hanno un cuore che ha saputo scegliere tra il male apparente e il bene apparente, anche contro la loro stessa comodità: visto che il loro scarso profitto avrebbe potuto spingerli a diventare un po’ come il trota, per capirci…
E poi il ribelle: il male puro!
Che si esprime con la sua intelligenza glabra di finta cultura servile, ma gravida di profondità raziocinante ed estasi immaginativa; che va contro non per il gusto di essere l’altro piatto della bilancia, ma perché sente che il valore non è dato dal peso che esercita, ma semmai dalla leggerezza con la quale si può mostrare!
Il peso pesante è cosa da “uomini forti”, ma il peso piuma è cosa da angeli!
Mi guardo nello specchio e alzo il braccio destro e la figura che mi copia alza il sinistro, seguo le mie dita…la mia fede nuziale sembra essere infilata nella mano destra anziché nella sinistra, alzo lo sguardo fino al capo e chiudo un occhio poi tutti e due e poi li riapro improvvisamente…, si sono sicuro: sono proprio io!
Ma cosa cambia quando provo a specchiarmi nella società anziché dentro me stesso?
I valori sembrano opposti: il vero bene diventa il male e il vero male diventa il bene; il disvalore per eccellenza diventa l’incarnazione del bene che giudica il male e lo scova ovviamente: nella semplicità di una vita autentica ispirata al bene vero.
Da che parte voglio stare, sicuramente l’ho deciso da bambino: quando la natura stessa mi ha infilato tra coloro che apparivano come ribelli, espellendomi da ben due scuole cattoliche - il ché sicuramente ha attardato e complicato il mio riavvicinamento alla chiesa, anche dopo la mia conversione.
Quando la natura stessa mi ha infilato tra coloro che apparivano come ribelli, e che poi alla fine si ribellavano soltanto alla falsità di uno specchio deforme.
Rué, 30 giugno 2012