AUDIOFILO O MUSICISTA?

E’ un crescendo continuo di allontanamento dall’originale eppure lo chiamano “palcoscenico virtuale”, che dovrebbe ricostruire – almeno nelle intenzioni -  l’ambiente sonoro nella maniera più simile possibile a quello in cui è stato registrato.

E' la pretesa degli audiofili! 

Peccato che – per chi abbia orecchi – il risultato finale vada esattamente in direzione opposta, e tanto più viene ricercata la “tanto amata perfezione”, e tanto più ci si allontana dall’evento sonoro originale…

Vogliamo parlarne apertamente?

Con la scusa di migliorare la percezione sonora dell’evento, si aggiunge e si toglie, si modifica radicalmente il carattere del suono e si inventano suoni da audiofilo appunto; si comprime il suono fino a “senti come succhia” nella speranza di dare più forza a una materia sonora che appare debole perché nella sua forma naturale; si elimina ogni possibile rumore da “forma di vita” che sia quello di una giacca che struscia sullo strumento musicale o quello di un sospiro del musicista, o di uno sgabello che scricchiola, o di un’esternazione spontanea del momento come una parola o un verso che il musicista vive sul momento…

Gli studi di mastering professionale, hanno capito quali siano le esigenze del consumatore finale del prodotto, e quindi tentano in tutti i modi di fornire un supporto che sprigioni forza dall’elettronica e dall’informatica utilizzate: una forza esagerata, ma lontana anni luce dal suono di uno strumento musicale autentico o di una voce umana.

Perché c’è bisogno di tanta forza per raccontare una storia di vita?

Perché ci hanno abituati sempre più a suoni lontani dall’originale, ma questa abitudine nasce tanto dall’opportunità fornita dalla tecnologia in continua crescita, quanto dalla povertà media del contenuto delle composizioni, le quali – per ben figurare – necessitano appunto di una “droga”, ovverosia di una macchina capace di trasformare un’opera così così in un’opera che “suoni forte”.

Tanto è vero che se ascoltiamo casualmente una tarantella spontanea – per esempio - suonata con mezzi poveri come una chitarra un mandolino e una tammorra (tamburo tipico del genere), ci impressioniamo positivamente e sentiamo quei suoni veri, come insostituibili!

Perché accade questo?

Ma perché in quel momento noi viviamo un’esperienza vera e siamo fulminati proprio dalla forza dell’autenticità, in netto contrasto con tutti i suoni truccati ai quali siamo abituati e che – inconsapevolmente – ci rimandano ad atmosfere e realtà virtuali appunto, e non di vita diretta…

Allora possiamo dire che è la forma live a restituire una forma più spontanea e vera?  

E invece accusare il cd - e ogni forma di musica preregistrata - di affiliarsi ad un meccanismo di “modernizzazione”, dovuto all’esigenza di sopperire con una maggiore forza d’impatto sonoro, la mancata naturalezza che deriva da un’esecuzione dal vivo?

Assolutamente no!

Infatti oggi – e da moltissimo tempo del resto – ogni volta che si va a concerto (sia esso di qualunque genere musicale, tranne che classica intesa in senso ordinario, quindi non moderno) si ascoltano soltanto suoni ipertruccati e lavorati di fino in maniera tecnologica, tanto da snaturalizzare l’evento sonoro esattamente come accade nell’ascolto dei cd musicali.

E’ nato prima l’uovo o la gallina, allora?

Sicuramente l’abitudine ad ascoltare suoni “differenti” dall’originale sui dischi, ha poi creato la necessità di ascoltare suoni simili nelle esecuzioni dal vivo.

Ma non è questa la ragione per la quale si è cominciato a truccare i suoni, e a trasformare le atmosfere vive in atmosfere neutre; semmai la ragione va cercata in un’esigenza commerciale di chi i dischi li fa e li faceva per soldi e non per divulgare arte.

Chi deve vendere il maggior numero possibile di copie di un disco, non è certo interessato alla perfetta adesione all’originale, perché appunto il suo scopo non è quello di soddisfare esigenze artistiche, ma quello di fare cassa; va da sé che per fare cassa è del tutto inutile tentare di erudire i possibili ascoltatori, mentre è molto più probabile il trucco di distorcere i suoni naturali di strumenti musicali e voci esistenti, stimolando la curiosità degli ascoltatori all’ascolto di una “novità”.

Siccome poi la novità – il più delle volte – non c’è sul piano artistico, si rende ancora più indispensabile l’utilizzo di questi trucchi per stupire con qualcosa il pubblico.

Inoltre questa prassi ha un altro aspetto del quale si nutre avidamente: dover continuamente aggiornare i suoni attuali con dei suoni nuovi; infatti si distinguono i dischi con dei suoni ormai un po’ vecchiotti da quelli con suoni già più moderni a quelli con dei suoni grandi - decisamente attuali; soltanto che il suono degli strumenti musicali e delle voci nel frattempo non cambia!

Quello che cambia è la nostra abitudine al trucco successivo, che a volte ingloba i precedenti trucchi e a volte ne inventa di completamente nuovi, creando la droga-abitudine nell’ascoltatore di cercare sempre suoni differenti anziché storie di vita differenti.

Quest’abitudine  è estremamente dannosa, perché allontana sempre più dalla ricerca del suono vero e dalla naturalezza di un’esecuzione dal vivo, che del resto oggi può essere riprodotta fedelmente anche su cd!

Chi ascolta soltanto musica che esce dagli altoparlanti di un impianto hi-fi, per quanto spenda avrà sempre meno che ascoltare uno strumento dal vivo, e anzi avrà esattamente l’opposto in termini di autenticità; otterrà sicuramente un ascolto patinato e vellutato, molto meno graffiante e incisivo di quello di una voce umana o di un violino o una chitarra.

Un altro conto sono i suoni che nascono immediatamente da una macchina e che vanno sotto il nome di musica elettronica: questi possono essere trattati come si vuole proprio perché la loro natura è virtuale e non è naturale, fisica, come l’aria che passa attraverso l’ugola di una persona che respira o come le corde di una chitarra che viene pizzicata…

Queste pratiche naturali portano con sé delle “imperfezioni” che sono tipiche della musica viva: la voce di un cantante avrà dei piccoli ritorni e piccole stonature così come suonando una chitarra si produrranno dei piccoli rumorini involontari delle dita o del plettro sulle corde, ma anche questa è musica; tutti gli strumenti naturali portano con sé anche delle piccole stonature incorreggibili come invece è possibile fare con una strumentazione elettronica, ogni strumento ha una sua voce e ogni musicista è capace di farlo vibrare in una maniera unica, assolutamente irripetibile.

Negare tutto ciò è come negare la personalità nella calligrafia!

Sicuramente se devo leggere un documento, preferisco farlo con caratteri stampati ai quali ormai siamo abituati da tempo, ma se devo leggere le poesie di un autore preferisco leggerle dalla sua penna che mi restituisce molto meglio l’autenticità della situazione emotiva e della personalità dell’autore.

Spero che in futuro – ma qualcuno l’ha già fatto – nei libri, si accostino alle poesie stampate anche le fotocopie dei manoscritti dell’autore; dove la parola stampata occorre soltanto laddove non si comprenda del tutto una calligrafia difficile.

Bisogna pretendere la stessa cosa per la musica strumentale e vocale!

Vogliamo sentire le voci e gli strumenti musicali originali, tanto più che oggi è relativamente facile una registrazione sonora autentica, non truccata!

Anzi, direi che pretendere l'autenticità nell'ascolto della musica strumentale e vocale, fa parte proprio di una responsabilità da assumersi come quella della salvaguardia di un’oasi naturale e dell’ambiente in generale, del mare e delle specie viventi in esso contenute.

Audiofilo o musicista?

Musicista, grazie!

Rué, 16 dicembre 2012

AUDIOFILO O MUSICISTA?

Nessun commento trovato.

Nuovo commento